Scrittori in armi by Giuseppe Scaraffia

Scrittori in armi by Giuseppe Scaraffia

autore:Giuseppe Scaraffia
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza


Ernst Jünger

1913

Benché avesse diciott’anni e fosse alto quasi un metro e ottanta, una statura notevole per l’epoca, Ernst Jünger (1895-1998) riceveva ancora visite che di solito cessano alla fine dell’infanzia. Un’incantevole apparizione lo visitava non nel sonno, ma nei suoi sogni a occhi aperti; si chiamava Dorotea e lo spingeva a cercare l’avventura al di fuori dei pacifici orizzonti della vita quotidiana. Libri di viaggio e romanzi d’appendice erano la bussola che gli indicava indiscutibilmente una sola direzione: l’Africa, «la quintessenza della natura selvaggia, vergine e impervia e perciò un territorio dove l’incontro con l’inatteso e lo straordinario era piú probabile».

Era talmente assorto nelle sue fantasticherie che a scuola non sentiva nemmeno piú la lezione. L’unica remora era l’idea di abbandonare la sua confortevole esistenza e le comode avventure sognate al caldo nella sua stanza.

Aveva pensato che arruolarsi nella Legione straniera, esaltata in molti racconti d’avventura, fosse il modo migliore per arrivare in Africa. Poi, pensava, avrebbe disertato per inoltrarsi nella giungla. «La parola giungla racchiudeva in sé tutta una vita... una vita da dedicare alla caccia, alle razzie e a straordinarie scoperte». Cercando di bruciarsi i ponti alle spalle aveva usato i soldi avuti dal padre per le spese scolastiche per comprarsi una vecchia rivoltella a sei colpi.

Non essendo un tipo pratico non sapeva dove arruolarsi, ma si ricordava di avere letto in un articolo che il borgomastro d’una cittadina tedesca si era presentato in una caserma di Verdun. Dominando la timidezza, era salito in una carrozza di quarta classe. Per contrastare lo sgomento continuava a ripetersi: «Tornare è impossibile!» Intanto cercava di distrarsi osservando la colorita compagnia di viaggiatori che si succedevano durante il percorso o accarezzando la ruvida impugnatura dell’arma nascosta in una tasca dei pantaloni. Nel suo odio verso la civiltà e le sue regole rientravano anche la ferrovia e ogni forma di strada, ogni violazione del libero sviluppo della natura. Solo nel continente nero sarebbe sfuggito alla tirannia del denaro.

Mentre si avvicinava alla frontiera, si chiedeva se i doganieri gli avrebbero sparato o, ancora peggio, l’avrebbero paternamente persuaso a tornare a casa. Ma non era successo niente. A Verdun, aveva esitato a lungo prima di arruolarsi, poi si era tagliato ogni possibilità di fuga buttando in un rigagnolo i soldi che gli erano rimasti. Arrivato, dopo varie peripezie, a Fort Saint-Jean a Marsiglia, un castello eroso dal tempo, si era aggirato tra gli infidi compagni di ventura con l’ingenua curiosità di Alice nel paese delle meraviglie. Ladri, bruti e furbastri erano altrettanti personaggi dell’avventura in cui sentiva di essere finalmente entrato.

Alla stazione di Marsiglia, appena sceso dal treno aveva trovato un caporale che l’aveva scortato, insieme alle altre reclute, per le vie della città. Aveva attraversato la Canebière, poi il vecchio porto, «un grande bacino quadrato circondato da mura», fitto di pescherecci e di barche a vela. Aveva osservato le sedie fuori dalle taverne e la folla eccitata che si pigiava tra le bancarelle di pesce e di frutti di mare. «L’aria era pregna dell’odore



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